04 Jun
04Jun

Durante il mio percorso scolastico, ho vissuto con la mia classe un’esperienza che ci ha permesso di avvicinarci ad una realtà a noi lontana, quella del carcere. Attraverso un progetto scolastico, insieme alle insegnanti di religione e di italiano, siamo andati a visitare il carcere di Alghero, l’11 febbraio. 

Qui abbiamo incontrato i detenuti che ci hanno accolto con molta gioia e ci hanno raccontato alcuni pezzi della loro storia. L’immagine del carcere è tradizionalmente associata alla punizione, alla frustrazione e al dolore di coloro che vi sono detenuti. In realtà è anche un’opportunità per la riflessione, la trasformazione, l’introspezione. 

Quando una persona viene privata della sua libertà, si trova inevitabilmente a fare i conti con sé stessa in un modo che sarebbe quasi impossibile in un contesto di vita quotidiana. Lontano dal caos della società, l’individuo ha l’opportunità di riflettere sui propri errori, di cercare un significato più profondo nella propria esistenza e di intraprendere un percorso di cambiamento interiore. 

Quest’esperienza mi ha colpita profondamente, più di quanto mi aspettassi, in quanto non pensavo di vedere l’umanità e il rimpianto dietro a quelle persone, che forse prima avrei giudicato solo in base al loro passato. 

Adesso sono convinta che una persona possa cambiare, come in negativo, anche in positivo. Sono riuscita a vedere il carcere in maniera diversa grazie ad un incontro autentico con alcuni detenuti che hanno deciso di aprire il loro cuore e condividere le loro storie di vita e di speranza. Mi ha colpito la loro voglia di rimettersi in gioco e superare il loro passato. Inoltre, quanto detto dai detenuti mi hanno fatto riflettere sull’importanza di due parole, che poi semplici non sono, la libertà e la famiglia. Persone come loro si ritrovano da un momento all’altro a dover fare i conti con la realtà e, senza neanche accorgersene, si ritrovano lontani dalla loro famiglia e con una libertà molto limitata. Molte volte non ci rendiamo conto dell’importanza che ha la famiglia, perché non è una cosa scontata o che esiste a prescindere; anche i rapporti familiari vanno coltivati e preservati, e sapere che per alcuni detenuti questa ha un’importanza fondamentale mi riempie il cuore di gioia. Per persone come queste, che hanno perso tutto da un momento all’altro, la famiglia diventa uno degli strumenti fondamentali per poter andare avanti.  

Il carcere, quindi, può essere visto come luogo dove la speranza è l’ultima a morire. Posso quindi dire che dietro al silenzio pesante, le sbarre, i corridoi vuoti, le porte costantemente chiuse, c’è qualcosa che spesso sfugge agli occhi di chi vede il carcere solo come un luogo di punizione: c’è la vita, la vita di chi cerca di riprendersi il proprio futuro in mano. Per questo non etichettiamo e giudichiamo mai le persone senza cercare di capire le loro storie, le motivazioni che le hanno portate a compiere errori. Ricordiamoci che sbagliare è umano e che può succedere a tutti. 


Giorgia Piras 4D classico

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